Un ordito per discutere di Infrastrutture di Dati Territoriali

La maggior parte dei dati creati dal settore pubblico possono essere messi in relazione ad una posizione geografica, perciò fruiti attraverso rappresentazioni cartografiche. La disponibilità di queste informazioni –in forma chiara e precisa- è di grande importanza non solo per le amministrazioni pubbliche ma anche per organizzazioni private e del terzo settore, così come per i singoli cittadini. Per questi tangibili motivi, la creazione delle Infrastrutture di Dati Territoriali, SDI (Spatial Data Infrastructure), assume un valore strategico per generare benefici per la società intera. – Un contributo del blog “TANTO

Da ragazzino m’innamorai: una di quelle passioni coinvolgenti che, se ti prendono, t’accompagnano per tutta la vita. Fu così per me la montagna. Risale a quei tempi (metà anni ’60) la scoperta dell’esistenza delle preziose “tavolette al venticinquemila dell’igiemme”. Erano le uniche mappe disponibili alla scala appropriata, per interpretare un itinerario descritto in una guida e riportarlo sulla rappresentazione di quel territorio dove il percorso si sarebbe svolto. Non era facile procurarsele: in città, ne teneva un certo numero soltanto una libreria. Quelle non disponibili andavano ordinate; i tempi di attesa erano imprevedibili.
Tra i ricordi, ho quello legato alla sorpresa provata leggendo la prima volta la dicitura in basso a sinistra che riportava l’anno dell’ultimo aggiornamento di quelle cartine: una data che mai superava la metà degli anni trenta. Non era una carenza che impensierisse l’apprendista esploratore: va da sé, le montagne hanno tempi di mutamento geologici; all’epoca i rifugi non potevano che essere quelli approntati dal Club Alpino all’inizio ‘900 e la rete dei sentieri quella creata nei secoli per la transumanza o per le battute di caccia del Re. Comunque, la condizione era “prendere o lasciare”, altro che geopaparazzi!

Questo ritorno sentimentale ai tempi della mia adolescenza, cerca solo di mettere in risalto, la straordinaria diversità con quell’epoca: basta confrontare questo esempio di accesso all’infrastruttura di dati territoriali di allora, e l’uso che un ragazzino poteva farne, con le possibilità date ai nostri figli, che possono consultare liberamente le immagini satellitari di ogni luogo, interagire con persone di tutto il mondo, fare ricerche tra enormi quantità di dati con un semplice click del mouse. Un contrasto forte: forse non si deve trascurare che tutto è avvenuto in un lasso di tempo sufficiente perché sia consentito a fasce ancora consistenti della popolazione attuale di vivere entrambe le esperienze.

Ho usato il termine “infrastruttura”, non credo impropriamente: anche se ai tempi esso non era adoperato, l’Istituto Geografico Militare -insieme agli altri organi cartografici dello Stato- costituivano l’insieme delle tecnologie, metodi, politiche e accordi istituzionali comunque tesi a facilitare la disponibilità, l’omogeneità e l’accesso ai dati territoriali. Nondimeno, rispetto al significato che viene assegnato oggi a questo termine, ogni soggetto rappresentava un fornitore autoconsistente rispetto alle richieste e alle esigenze cui doveva far fronte e un produttore autosufficiente, possedendo pressoché tutte le competenze e gli strumenti necessari per realizzare i propri prodotti. Tale, in sostanza, era la realtà dell’amministrazione pubblica e questa era anche quella dei pochi produttori privati, prevalentemente orientati a soddisfare le esigenze indotte dal nascente fenomeno del turismo di massa.

L’espressione “Infrastruttura di Dati Territoriali” è in verità utilizzata soltanto dall’inizio degli anni novanta. Essa è stata coniata negli Stati Uniti, nell’ambito della ricerca di soluzioni per razionalizzare la produzione dei dati territoriali tra i diversi livelli della Pubblica Amministrazione, originariamente in un’ottica molto pragmatica: ridurre l’impegno economico e garantire un uso più efficiente delle risorse pubbliche per acquisire e gestire i dati geospaziali.
Nel tempo, questo nuovo paradigma per gestire ciò che comunemente identifichiamo come “mappe”: ha assunto un valore più ampio, includendo anche la promozione dell’uso dei dati geospaziali e del loro riutilizzo per molteplici scopi, non solo in ambito pubblico ma anche con crescente attenzione verso il settore privato, stante l’incremento di prodotti e applicazioni rivolte al mercato consumer. Mentre questo processo è in atto, nuovi temi appaiono e influiscono sull’implementazione delle Spatial Data Infrastructure: espressi dal mercato (“l’uragano” Google maps), tecnologici (il semantic web, Internet of things, il cloud computing, …), sociali (Volunteered Geographic Information), del settore pubblico (Open Government).

Sono le medesime tematiche degli Stati Generali dell’Innovazione. Può quindi essere interessante e utile considerare la letteratura scientifica sulle SDI, per conoscere e considerare quanto gli studi effettuati sulle pratiche realizzate in molti Paesi hanno evidenziato, come aspetti salienti e come argomenti che ancora richiedono analisi e approfondimenti, per costruire organizzazioni efficaci ed efficienti. Quanto segue è soltanto una carrellata, non certo un trattato esaustivo.

Un primo argomento trovato in letteratura che può essere utile tener presente riguarda aspetti legati a ciò che s’intende con il termine infrastruttura nell’ambito dell’IT. Le SDI si stanno affermando come evoluzione di strutture GIS e di sistemi federati di eGovernment già operative, non nascono come ideazione originale, né possono essere considerate come risultato di una progettazione temporalmente confinata. In altri termini, il loro sviluppo non segue il tradizionale processo di realizzazione di un sistema informativo, piuttosto esso si basa sullo sfruttamento evolutivo delle soluzioni tecnico-organizzative già esistenti per la gestione dei dati geospaziali, alle quali gradualmente si vanno a innestare ulteriori componenti (tecniche e organizzative), secondo modelli a rete. Non esistono processi codificati per descrivere o attuare lo sviluppo di una SDI, ogni percorso seguito deve tenere necessariamente presente il contesto organizzativo e operativo in cui si sviluppa.
Gli studi condotti nell’ultimo decennio sulle Information Infrastructures, hanno posto in evidenza che gli aspetti tecnici (per esempio: hardware, software, basi di dati) e quelli non-tecnici (quali: risorse umane e skill, management, forme di governance) non possono essere considerati indipendentemente, in quanto essi si compenetrano e sono parte essenziale uno dell’altro. Lo sviluppo di una SDI, con tutte le caratteristiche di una vera e propria infrastruttura operativa, implica attenzione simultanea sia rispetto ai requisiti tecnici, sia a quelli non tecnologici.

La documentazione riguardante le SDI esistenti (ai diversi livelli: nazionale, regionale e locale), nelle diverse aree geografiche (anche con livello di sviluppo, forme di governo e cultura differenti), conferma che tali infrastrutture nascono e stanno crescendo più rapidamente, armoniosamente ed hanno maggior successo -cioè soddisfano i bisogni degli utenti, e sono essi stessi a testimoniarlo- laddove l’attitudine alla collaborazione, la cooperazione tra istituzioni è maggiore. Le informazioni sulle “best practices” forniscono utili dati e indicazioni per comprendere quali attitudini siano necessarie a livello di collaborazione inter-organizzativa, quali ruoli competano a singole unità GIS e quale funzione debbano svolgere gli utenti di una SDI.

Per quanto riguarda i bisogni degli utenti di una SDI, oltre alle esigenze di carattere tecnico (quali: requisiti di standardizzazione e armonizzazione dei dati, indicazioni per migliorare i servizi di fruizione dei dati stessi), istanze non tecniche possono essere: il miglioramento delle modalità di comunicazione e di dialogo tra data provider e utenti, la riduzione dei vincoli per l’accesso ai dati, il miglioramento della gestione dei metadati, l’aggiornamento più frequente dei dati, politiche di accesso (licenze e prezzi) ai dati minori (in numero) e più chiare.

La diffusione delle SDI va quindi di pari passo con una continua loro trasformazione ed evoluzione tecnica -indotta dal progresso dell’ICT- ma anche organizzativa, determinata dalla crescente esperienza acquisita rispetto alle criticità delle infrastrutture dedicate ai dati territoriali rilevate, come:
• l’aumento della complessità organizzativa, dovuta a contesti sempre più inter-organizzativi entro cui esse sono chiamate ad operare
• la difficoltà nell’identificazione dei potenziali utenti e su come monitorare e valutare istanze e modi di fruire i servizi resi disponibili dalle SDI
• l’esigenza di incrementare la capacità (capacity building) degli stakeholder e dei manager per elaborare ed effettuare azioni innovative in risposta agli stimoli di cambiamento (per esempio indotti dai punti precedenti).

L’evoluzione delle SDI è influenzata naturalmente dalle trasformazioni che riguardano l’ambito della pubblica amministrazione. Si prevede che il settore pubblico nella Società dell’Informazione giochi ruoli diversi se non nuovi; ad esempio, rispetto ai dati svolga minori funzioni di collettore per assumere quelle di gestore della qualità (autenticità, affidabilità, …) delle sorgenti d’informazioni. Esso sta sviluppando anche nuove modalità di relazione: con meno enfasi sulla gerarchia, a favore di reti orizzontali, basate su partnership e collaborazioni. Le funzioni assegnate dalla società a questo settore saranno maggiormente definite in base alle attese degli utenti e saranno svolte ripartendone le mansioni tra pubblico, settore non-profit e privato.
Tali cambiamenti, in sintesi, mostrano un mutamento del rapporto con i dati: non più pubbliche amministrazioni detentrici di database, quanto database fruiti (anche) da pubbliche amministrazioni. Anche rispetto a questa prospettiva, affiora la crescente rilevanza e valore che le Infrastrutture di Dati Territoriali stanno assumendo.

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