Condivido con la Comunità di SGI questo breve contributo, pubblicato due anni fa su Nòva 24 e sul Blog “Fuori dal Prisma”, Il Sole 24Ore. #CitaregliAutori
“Dobbiamo iniziare a considerarci cittadini del mondo e utilizzare un approccio cosmopolita“ (E.Zuckerman 2014)
“Nell’economia della conoscenza il valore si concentra nell’immateriale e gli oggetti acquistano un prezzo tanto maggiore quanto più contengono ricerca, informazione, immagine, design intelligente, materiali ecologicamente compatibili, significato socialmente riconoscibile. In questo contesto, gli spazi aperti per l’innovazione sono enormi”(L.De Biase, 2013)
“I cyber-utopisti non sono riusciti a prevedere le misure adottate dai governi autoritari nei confronti di internet; inoltre non si sono resi conto di quanto esso potesse rivelarsi utile alla propaganda, di quanto sarebbero diventati sofisticati i moderni sistemi di censura online, della sapienza con cui i dittatori avrebbero imparato a usare la rete a scopi di sorveglianza…Per quanto riguarda le azioni concrete per promuovere la democrazia, le idee cyber-utopistiche spesso portano a un approccio altrettanto erroneo che chiamo internet-centrismo (determinismo tecnologico, n.d.R.)…gli internet-centristi amano rispondere a ogni domanda sui cambiamenti democratici riformulandola a partire da internet anziché a partire dal contesto in cui deve avvenire il cambiamento”(E.Morozov,2011)
“Di fatto, la terra vergine dell’attuale prassi comunicativa sembra contrassegnata anche, e soprattutto, da straordinarie opportunità di democratizzazione della conoscenza e dei processi culturali senz’altro in grado di scardinare, definitivamente, il vecchio modello industriale ma anche assetti consolidati, gerarchie, logiche di controllo e di chiusura al cambiamento. Ad essere in gioco è, quindi, la ridefinizione della struttura dei rapporti sociali di potere con tutte le implicazioni del caso […] Lo sviluppo del sistema-mondo è strettamente legato all’affermazione di una nuova religione civile fondata sulla conoscenza (diffusa) e su valori non imposti, ma acquisiti in maniera intersoggettiva da tutti gli attori coinvolti.”(P.Dominici,2003-2011)
Le architetture complesse (2005), a supporto della società in rete, confermano e rafforzano ulteriormente, spazzando via ogni perplessità, il carattere di “bene comune” associato alla risorsa “conoscenza“: l’unica risorsa strategica, derivante da processi di acquisizione intersoggettiva, in grado di alimentare anche dal basso i gangli ed i tessuti che innervano l’economia interconnessa creando, in tal modo, le condizioni basilari per la realizzazione e l’evoluzione di quell’ecosistema cognitivo (2003) basato su processi aperti, dinamici e più democratici rispetto al passato; nonostante le tante criticità su cui abbiamo espresso la nostra opinione più volte, proponendo la definizione di “anello debole”(1996 e 2002) – tra sistema di potere ed ecosistema mediatico – per indicare una sfera pubblica non più autonoma dalla politica e, soprattutto, non criticamente formata. Tuttavia, non possiamo non registrare come si moltiplichino i progetti che hanno come nucleo fondante la condivisione della conoscenza e un nuovo modello economico basato sulla cooperazione, su una cultura partecipativa e mutualistica e, perfino, su un’etica del dono (lo ribadiamo, nel lungo periodo): si pensi all’idea, all’ambizioso progetto, tutt’altro che utopistico (anzi!), di realizzare una rete globale open source, finalizzata, oltre che alla produzione/elaborazione di conoscenza, anche al controllo delle informazioni (cruciale, ancora una volta, il dibattito e le decisioni che saranno prese in materia di net neutrality).
Un ecosistema della conoscenza che, strutturato in maniera reticolare, è destinato ad agevolare, significativamente, i processi di riduzione della complessità in una fase di passaggio all’ipermodernità sempre più contraddistinta dall’aumento dell’indeterminatezza e del disordine all’interno dei sistemi. A queste dimensioni estremamente problematiche non aggiungeremo, per motivi di opportunità, l’analisi che andrebbe condotta sul contesto storico in cui ci troviamo ad agire, e cioè la cosiddetta società della conoscenza: un contesto sempre più globale e interconnesso nel quale la stragrande maggioranza delle esperienze vissute e con cui interagiamo si rivelano, comunque e sempre, esperienze mediate dal sistema dell’informazione e, più in generale, dal sistema dei mezzi di comunicazione. Gli effetti di tali dinamiche sono soprattutto di natura cognitiva e di definizione delle gerarchie tematiche considerate prioritarie dalle opinioni pubbliche (democrazia).In altre parole, siamo costretti a prendere atto dell’assoluta rilevanza strategica che la comunicazione – intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza/potere, in grado cioè di rendere paritetica la posizione degli attori che partecipano all’atto comunicativo – e i sistemi comunicativi hanno assunto, oltre che nei processi di socializzazione riguardanti individui sempre più autonomi nelle loro scelte, anche nei meccanismi di strutturazione e definizione delle identità e delle appartenenze. Questa evoluzione creatrice (titolo di un’importante opera di H.Bergson), legata evidentemente anche all’innovazione tecnologica e all’avvento della cosiddetta Network society, ha determinato una sorta di dilatazione della prassi e, più specificamente, della sfera pubblica, contribuendo a ridare centralità alla questione dell’etica – e delle competenze, non solo tecniche, indispensabili per garantire una “vera” inclusione digitale – anche se all’interno di un quadro problematico più complesso. Non a caso, sono proprio i concetti di rischio (->conoscenza, fiducia, libertà, oggi, si discute anche di rischio della libertà digitale) incertezza, vulnerabilità a connotare le dinamiche dei moderni sistemi sociali, attraversati da flussi migratori sempre più significativi e a contraddistinguere la nuova economia capitalistica della conoscenza (Knowledge economy). Il processo di globalizzazione radicalizza il conflitto – introducendo nuove forme e modalità per il possesso e l’accesso alle risorse (immateriali) – proprio perché investe la sfera dei valori condivisi, dei significati e dei simboli, costringendoci al confronto con l’Altro da noi (fondamentale): anche questo è un problema di conoscenza.
Il rischio, come abbiamo ribadito più volte, è che si confondano “comunicazione e “connessione”: la società della Rete aumenta in maniera esponenziale le possibilità di “connessione” ma le opportunità di accedere, condividere e, soprattutto, poter elaborare conoscenza ed informazioni per la maggioranza degli attori sociali sono ancora lontane dal concretizzarsi. Allo stesso tempo, la società della conoscenza, fondata sulla condivisione e sull’apertura dei sistemi, è ancora lontana (come documentato da molte ricerche e rapporti) anche per il riprodursi in Rete di tendenze che caratterizzano, da sempre, gruppi, comunità, sistemi sociali: la “chiusura”, funzionale al contemporaneo aumento della coesione interna, e il controllo delle dinamiche e dei meccanismi riguardanti conoscenza e potere (P.Dominici,2005). Ethan Zuckerman, uno delle voci più autorevoli in materia, ritorna nel suo ultimo lavoro (2014) su queste tematiche di fondamentale importanza, parlando di cosmopolitismo, ma anche di tendenza all’auto-segregazione (via youtube -> digital self-segregation…torna la questione – su cui abbiamo lavorato molto, anche in passato – della fine del legame sociale e la “società degli individui” -> vedi post precedenti), e del ruolo centrale delle cd. “figure-ponte”(blogger) in grado di tradurre e condividere informazioni, collegando contesti. Nelle ricerca sociale torna, ancora una volta, centrale la figura del leader d’opinione (two-step flow of communication hypothesis), su cui la communication research ha prodotto, pur occupandosi allora di mass media, risultati significativi già a partire dalla metà del secolo scorso. Crescono le potenzialità conoscitive ma anche quelle di un’informazione disinformata…e su tale questione ritorneremo!
N.B. Condividete e riutilizzate pure i contenuti pubblicati ma, cortesemente, citate sempre gli Autori e le Fonti anche quando si usano categorie concettuali e relative definizioni operative. Condividiamo la conoscenza e le informazioni, ma proviamo ad interrompere il circuito non virtuoso e scorretto del “copia e incolla”, alimentato da coloro che sanno soltanto “usare” il lavoro altrui.
Dico sempre: il valore della condivisione supera l’amarezza delle scorrettezze ricevute. Nei contributi che propongo ci sono i concetti, gli studi, gli argomenti di ricerche che conduco da tanti anni: il valore della condivisione diviene anche un rischio, ma occorre essere coerenti con i valori in cui si crede. Buona lettura!