Comunicazione politica, Comunicazione di Servizio e Comunicazione Istituzionale sono tre branche diverse delle modalità di trasmissione delle informazioni. Informazione e comunicazione sono due modi diversi di approcciare la conoscenza a seconda delle finalità che si vogliono raggiungere. Gli ‘operatori mediali’ conoscono bene questi concetti che a volte risultano addirittura “intuitivi” in chi li utilizza semplicemente con passione.
La comunicazione politica differisce dalla institutional communication in quanto quest’ultima è comunicazione principalmente di servizio. Lo strumento attraverso il quale essa esprime le sue informazioni è l’URP (Ufficio Relazioni con il pubblico) ed è improntata principalmente all’accessibilità dei contenuti minimi di informazioni, come risultato e scopo della trasparenza. Quindi il fine è l’accessibilità e la diffusione della partecipazione attraverso internet è l’obiettivo.
Ciò perchè a partire dal 1990, ossia a partire dalle ‘riforme Bassanini, si è aperto un fronte di pensiero non solo sociologico ma anche economico-organizzativo di ampio respiro internazionale, che guarda alla Pubblica Amministrazione in qualità di “organizzazione trasparente” ossia “accessibile” al cittadino utente, facile da consultare e da “fruire”. Tuttavia in Italia l’accessibilità dei dati pubblici è ancora un obiettivo difficile da raggiungere.
La Legge Brunetta e le successive linee guida avrebbero dovuto rendere i palazzi della burocrazia se non proprio di vetro certo meno opachi. Una trasformazione che, dicono invece i rapporti, non si è ancora verificata in modo uniforme. La mappa dell’opacità è una mappa dell’Italia suddivisa in regioni che secondano una classifica di bassa percentuale di adempimento normativo nelle varie categorie comunicative, tanto che, come ha sottolineato l’ultimo rapporto della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, il problema è forse nelle norme stesse che avrebbero dovuto introdurla, giudicate “molto generali” e “applicate con difficoltà se non declinate in norme di dettaglio”. La consolazione è che ora abbiamo gli strumenti per misurare facilmente il flop, dove insiste e magari correggerlo
Una magra consolazione per i cittadini ormai resi consapevoli di quanta strada è stata fatta (poca a dire il vero) e quanta ne resta da fare (ancora tanta, sembra). Eppure è già qualcosa, perchè soprattutto grazie proprio alle recenti innovazioni, la trasparenza della Pa (o meglio le sue mancanze) è, letteralmente, visibile ad occhio nudo.
Continuando nella distinzione tra i diversi modi di comunicazione, la political communication, invece, è una comunicazione d’intenti, di programmi, di scopo e d’indirizzi. Quindi la trasparenza, ossia la facilitazione all’informazione, alla conoscenza e al sapere in generale, non è più il mezzo (aiutare attraverso internet o uffici preposti all’acquisizione del dato che interessa) ma il fine (essere trasparenti nei progetti politici, dichiarare apertamente gli obiettivi). Insomma più che la trasparenza il suo scopo è la chiarezza. Se la comunicazione ruota intorno al politico inserito in un organo istituzionale, la trasparenza diventa rigore – direi – numerico: emolumenti, indennità, attività certificata, responsabilità amministrativa …Tuttavia oggi è difficile fare una seria distinzione tra organi, istituzioni e soggetti politici in quanto questa separatezza si è fatta sempre più labile data la elevata esposizione alla personalizzazione della politica. Ma ciò deriva anche dall’impostazione delle varie leggi elettorali.
A questo punto mi sembra molto opportuno riportare qui un brano di un recente scritto da Paolo Mancini per gli studi di settore:
“Introducendo un volume collettaneo sulle tendenze più recenti negli studi sulla comunicazione politica, Dan Nimmo e David Swanson notano come progressivamente negli anni si sia passati da quello che essi chiamano the voter persuasion paradigm, da un paradigma cioè che privilegia soprattutto la dimensione persuasoria che collega l’azione dei partiti, dei candidati e dei media al singolo elettore, ad una prospettiva “sistemica” [ e qui vorrei aggiungere una nota: mi ha riempito di gioia constatare, dopo aver scritto già alcune pagine di questa tesi, che Mancini usa la stessa terminologia da me impostata per spiegare i passaggi salienti della moderna comunicazione politica. Sistemico è infatti il termine per eccellenza per spiegare il livello di penetrazione nella società moderna della comunicazione politica e del suo linguaggio. Ciò è evidente mi ha onorata tantissimo ma più di tutto mi ha sollevata poiché la constatazione giungeva a conferma della giustezza della linea da me impostata per le analisi e le riflessioni che stavo svolgendo ] che esalta la dimensione del rapporto tra istituzioni differenti. Secondo Nimmo e Swanson i primi studi, a partire dal classico The People Choice (Lazarfeld – Berelson – Gaudet, 1944), si soffermavano in modo particolare sui tentativi e sulle strategie di persuasione messe in atto nella ricerca del voto, e quindi sulla loro efficacia. In questi studi l’elettore, secondo la classica prospettiva dei powerful media, è un soggetto passivo ed isolato che, con il progressivo sviluppo dei mezzi della comunicazione di massa, sempre di più rimane esposto alla loro grande capacità persuasoria anche per quanto riguarda la decisione di voto. Questo paradigma della persuasione è stato progressivamente sostituito da una sempre maggiore attenzione verso gli aspetti e i vincoli derivanti dal funzionamento delle istituzioni (i vincoli posti dai sistemi elettorali [come si diceva n.d.a.] , dalla raccolta fondi) e della loro reciproca competizione. Una prospettiva soltanto in parte differente è sostenuta da quegli autori che, sviluppando le ipotesi di Habermas, hanno tentato di definire ed interpretare l’odierna sfera pubblica come il luogo in cui sistemi diversi, governo, partiti, sindacati, mass media, discutono e si confrontano (Golding,1986; Curran, 1991). Hallin, riferendosi anche alle ipotesi sviluppate da Tocqueville sul ruolo dei giornali come strumenti di dialogo all’interno dei vari gruppi dell’associazionismo civile, mette soprattutto in luce come l’odierna sfera pubblica si basi sul ruolo dei media come strumenti di dialogo e di confronto tra le varie forze organizzate della società (Halllin, 1994). Molte delle teorizzazioni fin qui viste si soffermano in particolare sull’idea di servizio pubblico radiotelevisivo che rappresenta, o almeno potrebbe rappresentare, la realizzazione ideale di quel modello di sfera pubblica che essi sostengono e che, come abbiamo visto, si colloca perfettamente nella tradizione del walfare state. “
L’autore Paolo Mancini, prosegue assumendo il pensiero di Golding, Curran e Hallin, per i quali il servizio pubblico radiotelevisivo avrebbe dovuto svolgere una funzione di ‘rafforzamento’ dei partiti politici evitando gli spazi a pagamento e lasciando a libero uso delle comunicazioni politiche alcune destinazioni mass mediali. In parte ciò è sicuramente vero, in quanto il sistema radiotelevisivo deve anche svolgere una funzione ‘formativa’ oltre che ‘informativa’. Eppure in parte dissento dal punto di vista autorevolissimo perché, a mio parere, si carica così di una eccessiva aspettativa l’opinione pubblica nei riguardi della televisione, scaricando in siffatto modo le responsabilità dei partiti e l’eccessiva personalizzazione della politica. Voglio intendere che non è che sia contraria all’idea dell’equità politica degli spazi comunicativi pubblici radiotelevisivi, ma non mi sento di attribuire tutte le colpe dei ‘vuoti politici’ ai sistemi mass mediali, soprattutto televisivi.
Alcune osservazioni su quanto appena detto possono suggerirci una più precisa definizione di comunicazione pubblica in generale: innanzitutto i mass media non possono più essere concepiti come semplici canali, bensì come attori, dotati di proprie regole e anche obiettivi e strategie. Pensiamo alla Rai, ad esempio, la sua strategia, sin dall’origine, è il “servizio pubblico italiano” di informazione e comunicazione radiotelevisiva. Diventa un sistema, seppure articolato e differenziato al suo interno. Tale sistema entra in una situazione di competizione/scambio con gli altri sistemi sociali. Altri sistemi mediali. Di conseguenza si può affermare che la comunicazione pubblica identifica quell’area dell’attività simbolica di una società in cui, a seguito dei processi di differenziazione sociale, sistemi diversi interagiscono e competono per assicurarsi visibilità e per sostenere il proprio punto di vista su argomenti di interesse collettivo.
Infatti spesso si parla di spazio pubblico “mediatizzato” (Ferry, 1989) e tale definizione rende ragione alla differenza innanzi citata tra comunicazione pubblica e comunicazione politica.
In poche parole, questa, lo ammetto, lunghissima analisi è utile a far comprendere la forza dei mezzi di comunicazione e la loro differenziazione in ordine all’uso che se ne fa. E’ utile altresì a comprendere meglio il fondamentale lavoro che la comunicazione politica svolge per circoscrivere il frame di contenimento entro il quale si snocciola la comunicazione pubblica.
Resta ancora una cosa da prendere in considerazione riguardo la comunicazione politica: lo scenario sociale nel quale si inserisce il dibattito sulla “forma della politica”. Le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno assunto un ruolo sempre più centrale proprio in nome della mutata esigenza della domanda e dell’offerta politica. Abbiamo detto improntata alla maggiore conoscenza e trasparenza. Il rifiuto di queste tecnologie, a priori, è un ancoraggio agli schemi del passato snocciolantesi sui messaggi indiretti ed occulti. La difesa del cittadino è il frame d’inserimento della moderna costruzione del sociale partecipativo passivo ed attivo. In soldoni la chiarezza e trasparenza è la cornice entro cui s’inseriscono le moderne candidature che vedono come componente essenziale la conoscenza e l’informazione anche attraverso i social network. Conoscenza ed informazione che non vogliono significare pubblicità e propaganda attraverso internet ma trasmissione ad un pubblico sempre più vasto delle idee e dei contenuti. Lo scardinamento dei sistemi televisivi catodici e il loro soppiantamento con quelli digitali ha rappresentato una rivoluzione nel campo comunicativo che ha segnato la fine del secolo scorso e segna sempre più il nuovo millennio. Il computer diventa, così, una leva fondamentale per potenziare la partecipazione, esso è notevolmente interattivo rispetto alla TV e con la TV stessa. Possiamo anche sostenere che dà voce alla TV e l’aiuta a trovare quel feedback che fino ad oggi è mancato, la sostiene nel stimolare la cooperazione, la diffusione e condivisione dei processi di sviluppo e trasformazione sociale. E’ una rigenerazione delle forme comunitarie che trovano oggi, e sempre più in futuro, riconoscimento nelle varie Agende Digitali che i governi disegnano. Sono sfide d’innovazione, allo stato attuale, dall’esito per nulla scontato. Ma sono molto importanti, anzi forse fondamentali, per la formazione delle coscienze. E’ evidente che la partecipazione e la conoscenza via telematica non possono eludere l’impegno fisico personale ma possono agevolarlo molto ed in alcuni casi estremi sostituirlo del tutto.
Ne sono riprova gli ultimi esperimenti condotti sulle primarie politiche del Pd, come anche di altri partiti: pensiamo a Bersani ma anche a Renzi, a Grillo a Forza Italia. L’esito che si intravvedeva attraverso la partecipazione ‘internauta’ non è mai stato uguale all’esito elettorale effettivo ma ha molto agevolato il processo di ‘mediatizzazione’ e ‘partecipazione’ favorendo un afflusso più compatto, consapevole e convinto al voto, nonostante il contenuto stesso della politica allontanasse molto i votanti tradizionali per effetto dei cambiamenti paradigmatici della politica dell’ultimo scorcio di tempo.
Infine la comunicazione pubblica vera e propria, e/o di servizio. Per afferrare bene il concetto di comunicazione pubblica dobbiamo fare riferimento alla pubblicità, alla Pubblicità Progresso, alla Comunicazione di Pubblica Utilità, intuitivamente e sinteticamente la comunicazione pubblica è questo.
Ma è soprattutto rete. Quindi la comunicazione pubblica è la vera destinataria dei ‘servizi di internet’. E’ un valore che porta con sé il telelavoro. Ma è anche e soprattutto un valore che ha agevolato la nascita della Società dell’Informazione che ha come obiettivo la creazione e lo sviluppo di una rete di contatti a livello imprenditoriale che possa costruire o ricostruire il tessuto economico di un luogo. Oggi, in virtù della crisi, siamo allo smantellamento del tessuto socio-economico dei paesi in generale, la rete della comunicazione pubblica è essenziale per mantenere il tessuto sociale, distinto in base alle singole caratteristiche ma unito nell’intento della salvaguardia e unità dei popoli. Attraverso la comunicazione pubblica passano le informazioni – consce o inconsce – fondamentali, soprattutto in tempo di globalizzazione.
Ecco perchè essa è entrata a pieno titolo in tutti i nuovi piani innovativi dettati dell’Agenda Digitale del mondo. Pur tuttavia essa registra un’empasse.
Il mancato ritorno in termini economici, di sviluppo e progresso, di questo empasse, è facilmente intuibile.