Il 20 febbraio si è svolta a Potenza la cerimonia per l’assegnazione del premio “Donne dell’anno” promosso dall’associazione ANDE, per rendere omaggio alle donne, lucane e non solo, che si sono distinte per particolare impegno sulla scena regionale.
Fra le premiate, Emma Pietrafesa, componente del direttivo di Stati Generali dell’Innovazione e animatrice della Rete Wister, che da oltre 10 anni lavora nel settore della ricerca e comunicazione, con focus su tematiche di genere, ICT e social media.
A lei abbiamo rivolto qualche domanda.
Cosa significa nel 2015 occuparsi di tematiche di genere e parlare di parità, con particolare riferimento al mondo del lavoro?
Tanto è stato fatto da chi ci ha preceduto ma tanto ancora c’è da fare e, come scrive De Gregori, La storia siamo noi nessuno si senta escluso…
Viviamo in una nuova dimensione di una società liquida, ma per quanto riguarda l’Italia siamo in un paese ancora antiquato e indietro dove diventa imperativo uscire dagli stereotipi e adottare nuove chiavi di lettura e nuovi strumenti per affrontare la realtà, anche nelle sue forme più difficili. Immaginare il futuro richiede un presupposto: è necessario riconoscere ed accettare di convivere con l’incertezza And con la valorizzazione delle differenze, in particolare di genere e di età, in ottica inclusive.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) i benefici che l’intera economia globale trarrebbe da una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro in generale e ai suoi vertici in modo particolare sarebbero molto elevati.
Lo spreco delle risorse femminili caratterizza infatti i paesi in declino; se l’Italia ad esempio spendesse bene i quasi sette miliardi di euro dell’Unione europea assegnati per politiche di genere, raggiungendo la quota di occupazione femminile dei paesi più avanzati, creerebbe fino a 2,7 milioni di posti di lavoro, soprattutto in auto imprenditorialità e i consumi crescerebbero del 20%.
A dispetto di tanti dati statistici e autorevoli studi internazionali sulla positiva inclusione delle donne nel mercato del lavoro e nell’economia globale, vi è ancora una resistenza/persistenza diffusa a non valorizzare e incentivare la presenza delle donne all’interno dei settori produttivi e decisionali.
Donne e competenze digitali o professioni dell’ICT: quale è il gap attuale?
Analizzando gli scoreboard europei the women nell’ICT rappresentano solo il 30% della forza. Uno studio della Commissione europea stima che attraverso un’inversione di tendenza e una percentuale femminile nel comparto digitale pari a quella maschile, il PIL europeo registrerebbe un incremento di circa 9 miliardi di euro l’anno. Ancora troppe poche donne (solo 29 su 1000) conseguono un diploma universitario di primo livello in ICT e di queste solo 4 su 1000 lavorano effettivamente nel comparto; le donne tendono ad abbandonare il settore a metà carriera e sono sottorappresentate nelle posizioni manageriali: solo il 19,2% degli addetti settore ICT ha un capo donna, contro il 45,2% in altri settori. Nel nostro Paese in particolare quando si parla di divario digitale deve essere considerato non solo la componente infrastrutturale e/o geografica ma anche sociale e di genere.
I fattori che impediscono alle donne di essere protagoniste alla pari nel digitale sono molteplici: tradizioni culturali e stereotipi sul ruolo delle donne; barriere interne come i fattori socio-psicologici; barriere esterne come un ambiente a forte predominanza maschile, difficoltà di conciliare vita e attività lavorativa e mancanza Of modelli di riferimento nel settore. Occorre un ripensamento delle modalità di comunicazione, formazione e condivisione dei saperi legati alle tecnologie e alla scienza più in generale. Nuove modalità di informazione e coinvolgimento che la rete Wister sta mettendo in campo con l’obiettivo di abbattere il divide esistente.
Nella conciliazione vita-lavoro, come le tecnologie possono essere abilitanti?
L’innovazione tecnologica e la nascita e lo sviluppo delle ICT hanno imposto cambiamenti non solo in ambito organizzativo-gestionale, ma hanno avuto un impatto molto rilevante anche sui comportamenti sociali, sulla determinazione di ruoli e dinamiche di potere e sulla creazione di nuovi modelli relazionali. Le tecnologie tuttavia vengono spesso viste come strumenti complessi e adatti esclusivamente agli “addetti ai lavori”. Niente di più sbagliato, esse, oggi, offrono opportunità per migliorare e semplificare la nostra vita di tutti i giorni sia in termini ludico-personali che in termini lavorativo-professionali, per qualunque tipo di professione anche non scientifica. Serve un ripensamento delle politiche di organizzazione del lavoro che promuovano le donne nei luoghi decisionali delle imprese e che facilitino la traduzione concreta di approcci che, attraverso le nuove tecnologie migliorino efficacemente la qualità della vita di tutti, promuovendo il benessere collettivo in tempi rapidi.
Le ICT da questo punto di vista possono essere punto di svolta epocale:
- per maggiore democratizzazione dei processi partecipativi di cittadinanza attiva, strumenti per una “rivoluzione” culturale e di pensiero all’interno di tutta la società;
- per liberare i tempi di produzione e di lavoro a favore di una migliore redistribuzione dei carichi ed impegni socio-familiari, quindi un migliore bilanciamento vita-lavoro (work-life balance);
- per supportare il delicato compito delle organizzazioni complesse nella ridefinizione di nuovi modelli e processi organizzativi;
- per un maggiore benessere dell’individuo e migliore valorizzazione dei percorsi lavorativi e di carriera anche e soprattutto femminili.
Open data di genere: quali per primi vorresti avere a disposizione e con quale finalità?
Mi piacerebbe poter conoscere quelli relativi alle violenze di genere, sia per attivare dei percorsi di recupero a favore delle vittime sia per mappare le aree sociali più a rischio, allo scopo di concentrare e mettere in campo efficaci campagne di prevenzione e sensibilizzazione. La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti e non ammette né se né ma, va sradicata ed in questo senso, come in tutte le tematiche connesse alle pari opportunità e al genere, la cultura è il primo strumento di cui possiamo disporre per facilitare e accompagnare il cambiamento.