Questione di comunicazione

RAI TRIBUNA POLITICA

Era il 3 aprile 1947, l’Italia usciva da una guerra devastante, De Gasperi guidava un governo provvisorio di transizione verso la Repubblica Democratica, l’indirizzo votato dai cittadini l’anno precedente, il 2 giugno 1946.
L’Assemblea Costituente non aveva ancora redatto la Costituzione. De Gasperi si preoccupò di normare il sistema radiotelevisivo italiano. Il grande successo che con Mussolini aveva vissuto la radiofonia imponevano un’attenzione particolare.Una legge che affidava al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni la concessionaria delle trasmissioni radiofoniche.
Agli artt. 11-12-13 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato, n.428 del 3 aprile 1947, il Presidente della Camera dei Deputati, non ancora eletta, aveva il compito di istituire una Commissione di vigilanza sui sistemi radiotelevisivi, nominando 17 membri tra i Deputati, rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. De Gasperi non aveva escluso nessun partito e non era cominciata così la lottizzazione in quanto il Presidente della Camera era responsabile della Commissione, e del sistema radio televisivo rispondeva il Ministero delle Poste, ossia il Governo.
Ogni territorio dove insisteva una stazione ripetitiva dei segnali radiofonici, veniva istituita una Commissione tecnica di sorveglianza. Quello che interessava di più al Capo provvisorio dello Stato che le trasmissioni non interferissero con linee straniere e non venissero da queste disturbate. Si viveva ancora nella paura e le linee di trasmissione erano importanti sia per la segretezza, sia per la pubblicità. Ma nelle Commissioni del Ministero erano previsti anche rappresentanti di radioutenti (art. 2) . L’apertura c’era e per quell’epoca era anche massima.

La prima riforma della Rai arriva con la Legge 14 aprile 1975, n. 103. Appellandosi all’art. 43 della Costituzione, esplicitamente citato, la Rai viene definita un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione. Il servizio e’ pertanto riservato allo Stato. L’indipendenza, l’obiettività e l’apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo. Ai fini dell’attuazione delle finalità di cui al primo comma e dei principi, di cui al secondo comma, la determinazione dell’indirizzo generale e l’esercizio della vigilanza dei servizi radiotelevisivi competono alla Commissione prevista dal decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 428. Sono soppressi gliarticoli 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 428, e la legge 23 agosto
1949, n. 681.
Il Ministero delle Poste non è più concessionario della Rai e la Commissione di Vigilanza, di cui alla legge soppressa del 49 (che novellava la composizione dei membri in numero di trenta scelti tra deputati e senatori) passa a 40 membri nominati dai Presidenti di Camera e Senato. La Concessionaria diventa il Parlamento. Sono previste sottocommissioni permanenti di cui una responsabile dell’accesso *
Allo stato compete la concessione di tutto il sistema tecnico (mezzi, fili, etere..) e il Governo può concedere concessioni anche a altre società pubbliche. Il Parlamento stabilisce gli indirizzi, la vera lottizzazione comincia qui.
Il primo, macroscopico effetto è quindi l’incorporazione di Rai 1 nella sfera di influenza della Democrazia Cristiana, di Rai 2 in quella del PSI e di Rai 3 in quella del PCI. Cosa che fece urlare parecchie volte ‘allo scandalo’ Marco Pannella

Nel medesimo periodo il direttore generale della RAI Biagio Agnes pilota in porto due strategie di comando: la zebratura, ovvero un perfezionamento della più generale lottizzazione, che consiste nel far convivere all’interno di una stessa struttura ulteriori quote prefissate di democristiani, socialisti, comunisti, socialdemocratici, repubblicani, etc., mescolando aree di appartenenza politica e professionalità; e l’assegnazione in toto di Rai 3 al PCI in modo da rafforzare definitivamente la stabilità politica dell’azienda e la stessa presenza della DC in Rai.
Ma furono anni molto prolifici dal punto di vista creativo, ebbero grande successo molti programmi serali. Non si poteva dire, non si poteva mostrare ma tutto si diceva e tutto si mostrava … tra le righe. Le dichiarazioni politiche però rimanevano estremamente ‘ermetiche’, a volte assumevano il carattere di veri e propri messaggi in codice che i leader politici si mandavano tra loro via cavo.
Quindi, quello che interessa maggiormente in questa sede è prendere in esame il sistema delle comunicazioni politiche e delle informazioni parlamentari in generale.
Sono le riforme dei regolamenti di Camera e Senato, a partire dal 1971, che introducono finalmente l’obbligo della pubblicità dei lavori parlamentari a norma degli articoli 64 e 72 della Costituzione, attraverso l’apertura alle riprese televisive Rai delle dirette dall’Aula.

RAI TRIBUNA STAMPA SENATO

Con la legge del 1975 si ha un potenziamento dell’informazione politica. In particolare l’art.22 dispone che la società concessionaria (Parlamento) è tenuta a diffondere comunicati stampa ufficiali (considerati fonte) con dichiarazioni esplicite dei Presidenti di Camera e Senato – e anche degli altri organi statali – facendo procedere trasmissioni apposite. In particolare l’accesso della Tv alle Aule parlamentari aumenta l’attenzione del pubblico verso la politica, anche se l’accesso necessita ancora di specifici permessi e per particolari sedute. E’ l’aumentata attenzione del pubblico che ha aperto definitivamente le porte dei Palazzi.

Un po’ di storia :

In “La Comunicazione pubblica” di Roberto Grandi si legge: “ Come documentato da Paolo Maggioli, nella nostra penisola fu lo Stato Pontificio che per primo utilizzò la stampa per la propria comunicazione giuridica e di propaganda, giungendo ad acquisire una stamperia nel 1626. Gli storici della stampa hanno documentato in maniera esauriente come, attraverso la censura ed il regime di esclusiva il potere pubblico controllasse lo sviluppo dell’informazione che, spinta da esigenze soprattutto di carattere commerciale, venne veicolata con pubblicazioni a cadenza periodica, le Gazzette. E’ da un avviso veneziano del 1563, messo in vendita ad una “gazeta” (moneta d’argento da due soldi) da cui viene il titolo Gazzetta, destinato a notevole fortuna
Per distinguere chiaramente il ruolo di portavoce ufficiale del potere pubblico da quello di espressione degli interessi della società civile, però, si dovette aspettare il 1854, quando nel Regno di Sardegna si affidò alla Gazzetta Ufficiale la diffusione degli atti normativi. Fino ad allora lo strumento principale della comunicazione, sia normativa che di altro tipo, del potere pubblico rimaneva l’affissione che dal 1865 (legge 20 marzo 1865, n. 2248) doveva avvenire presso l’albo pretorio istituito anche come strumento di propaganda per la pubblicità dell’ente locale. Tale propaganda – con toni notevolmente più marcati ed auoreferenzialmente più evoluti – la ritroviamo nel fascismo ed in tutta l’attività del Minculpop che provvide a creare varie Commissioni ed Enti ed Albi professionali – come l’ENAC o anche lo stesso l’Albo dei giornalisti – per il controllo della pubblicità e delle forme mediatiche di attrazione del consenso popolare. L’evoluzione della struttura amministrativa verso la comunicazione pubblica nell’ordinamento repubblicano italiano (nda come del resto anche la formazione di una cultura regionale) dovette fare i conti con ciò che aveva partorito il fascismo: un apparato addetto all’informazione pubblica che in realtà serviva a trasmettere e riportare brandelli di realtà così come l’amministrazione voleva che fossero a parte la pratica dell’intromissione nella sfera comportamentale dei cittadini.
Oggi, come abbiamo visto, tutto questo è stato spazzato via dall’acquisizione di una maggiore consapevolezza dei propri diritti fondamentali da parte del cittadino. Il cambiamento in 50 anni è stato enorme: al 90% tramite vie normative, al 60-70% nell’effettività. Basti solo citare tutto il capitolo di parità di trattamento nell’ambito lavorativo dove ancora sussistono differenze molto marcate di genere, e nonostante il dettato normativo dell’art.37 della costituzione sulle pari retribuzioni, e nonostante il decreto sui congedi parentali : Decreto legislativo n. 151 del 2001, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge n. 53 del 2000. E via così.

Sviluppo diacronico del concetto di rete. Dai caffè letterari ai social networks.
Presi nella rete…con la comunicazione digitale si apre un orizzonte vasto e indefinito

Il dibattito teorico relazionale intorno al rapporto tra cittadini e Stato e consenguenziale normazione e regolamentazione, prende avvio e si sviluppa a partire dal concetto di opinione pubblica, formulato da Habermas intorno agli anni ‘60 del ‘900. Una disamina interessantissima che va dai caffè letterari dell’800, dove la nuova borghesia esprimeva proprie personali opinioni su argomenti di interesse generale, ed arriva ai giorni nostri, fino ad includere, concettualmente, le dinamiche dei moderni media quali sono i social networks. Scrive Habermas «l’opinione di tutti i privati cittadini che fanno uso pubblico della ragione, in luoghi pubblici, attraverso supporti accessibili pubblicamente e che discutono, in quanto uomini, secondo un’ottica universalistica» si definisce sfera dell’opinione pubblica. Oggi queste relazioni sociali di interscambio sono caratterizzate fortemente dal digitale, al punto da poter definire gli uomini e donne del terzo millennio: la digital generation. Ed è evidente come nell’epoca attuale si avverta la necessità di leggi che ben definiscano i confini che possano valere per tutti, intorno alla comunicazione telematica, suoi accessi, inclusioni ed esclusioni, sue possibili distinzioni tra pubblico e privato. Però c’è un dato importantissimo da rilevare e sottolineare. Il poco fascino che, ironia della sorte, porta con sé la cultura digitale. Esemplifico. Fino agli anni ‘60-‘70, del ‘900, la storia, sia quella studiata che quella vissuta, godeva di un’attrazione tutta particolare, fatta di contenuti, passione, valori, sangue versato da uomini e donne che avevano combattuto per un ideale o finanche una semplice idea. La storia era cuore pulsante e vivente dell’evoluzione del genere umano. Linfa vitale. Con l’avvento delle tecnologie e la loro pervasività, dall’inizio degli anni ’90 in poi in Italia, la storia è come se si fosse svuotata. E’ diventata una sorta di multitasking usabile alla bisogna. Una piazza permanente. Una sorta di link di rimando a tutto il resto, e non si sa bene cosa sia questo “tutto il resto”. E’ diventato un relazionale quotidiano, o un quotidiano relazionale cui un po’ di voce urlante – senza specificità né specializzazione – l’ha data proprio il “nostro” Beppe Grillo, considerato una specie di fenomeno e la cui fama ha fatto il giro del mondo.
grillo
Il web ha però sembra aver tolto animosità alle nostre giornate e sembra averci consegnati ad una vita senza “patos”, senza vissuto, fatta di immagini tratte liberamente dal “grande fratello”. Lo scrive Wu Ming nella sua introduzione a “Cultura convergente” di Henry Jenkins, tra le caratteristiche del libro (Innovativo, Convergente, Interattivo, Partecipativo … ), Ming cita anche anche “Quotidiano”, dove per quotidiano viene compreso quel sottoprodotto tipico dei nostri tempi che è il multitasking, per l’appunto: “lo stato di “attenzione parziale continuata” che in Italia è la bestia nera degli insegnanti, genitori e intellettuali gentiliani”.
Un tipo di fruibilità ed adattabilità della storia manistream al pachwork individuale, dove la personalizzazione è la misura del grado di specializzazione e maturità raggiunto da ogni singolo individuo. ©
Continua Wu Ming : “Pochi ammettono che si tratta di un’abilità necessaria per affrontare il nuovo ambiente: mantenere un’attenzione diffusa e a “bassa intensità” su una molteplicità di stimoli, per poi focalizzarla ad alta intensità quando uno di questi stimoli si modifica in maniera significativa, ovvero ci avverte di “prestare più attenzione”. Il multitasking andrebbe insegnato a chi non ce l’ha nel sangue, non bruciato sul rogo. Purtroppo da noi la caccia alle streghe è sempre aperta e ben retribuita”

Ma ritornando ai nostri giorni, tutto questo sviluppo ha fatto sì che l’opinione pubblica sia diventata sempre più consapevole e sempre più esigente.
La spinta propulsiva alla diffusione della comunicazione istituzionale verso e al pubblico, viene dalla Legge 241 del 1990, che orienta l’amministrazione pubblica ai principi della trasparenza e obbligo di pubblicità. Una legge che approderà alla 150 del 7 giugno 2000 che sollecita la centralità della formazione die giornalisti per gli Uffici Stampa e Uffici Relazionali. Il Parlamento si adegua e anche la Rai, anche se non ancora riescono a completare quella fae di consapevolezza informazinale che l’informatica porta con sè. Questa acquisizione avviene con la XII legislatura. Camera e Senato aprono siti on line, così come molte altre istituzioni centrali e locai.
Nel 2013 i social network diventano le piattaforme preferite dalle comunicazioni istituzionali e dalla stessa Rai. Twitter e Facebook sono i motori propulsori della comunicazione politica e di servizio che viaggia in rete fianco a fianco ai cittadini, e da questi carpisce informazioni e a questi orienta conoscenza.
Oggi la situazione vede un’aumentata pubblicità dei lavori parlamentari on line e un enorme aumento dei canali televisivi Rai che viaggiano in bits e in diretta steaming, da vedere e rivedere e da partecipare. L’utente televisivo non è più passivo ma integato nel sistema stesso comunicazionale.
Il risultato è che esistono almeno due account twitter per il Senato e almeno 7/8 per Montecitorio, due canali Youtube al Senato e altrettanti per Montecitorio. Per non parlare degli account twitter e facebook della Rai che si è differenziata anche sui social network, sul digitale terrestre e sulla piattaforma Sky in rivoli di progammi a partecipazione immediata.
Tantissime le pagine istituzionali. Non mi soffermerò molto per questioni di tempo.
Solo per un esempio, l’account twitter ufficiale del Senato ha registrato in un mese: 202 tweet, 521.000 visualizzazioni, 14.700 visite del profilo, 2.574 menzioni, 3.407 nuovi followers. Mentre l’account twitter di Rai News 24 registra 142.000 tweet e 717.000 followers
senato infografica
La comunicazione è già cambiata e ha preso il sopravvento sulle leggi. Non è più il legislatore a normare il quotidiano ma è il cittadino utente a creare obblighi e norme comportamentali anche se la comunicazione politica e di servizio stanno diventando sempre più specializzate

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